5/03/2014

Sono sul ponte, il pranzo a base di tonno ,pescato da me e dal nostromo poco fa, è appena terminato.

Eppure non riesco a ritirarmi in cabina,una strana euforia che non provavo da tempo mi assale.

Finalmente dopo 168 ore di navigazione mi trovo di fronte alla storia.

Alla mia destra si erge l’ultima roccaforte inglese nel Mediterraneo : Gibilterra.

Un promontorio si allunga verso il mare e termina con una scogliera che pare antica come la terra; il nome di questo promontorio è Punta Europa.

Un grande traffico di navi ci accoglie, petroliere , portacontenitori, navi enormi e di piccole dimensioni.

Questo era ed è  l’unico passaggio verso l’atlantico.

I gabbiani e gl’albatros volano basso e si fanno trasportare dal  vento, incessante, che ci ha accompagnato durante tutto il nostro viaggio.

Da lontano, col binocolo scorgo la costa marocchina, o meglio, Ceuta una degli ultimi sette possedimenti spagnoli in Marocco.

Nuvole scultoree sembrano indicarci la rotta verso lo stretto , verso quel lembo di mare una volta tanto temuto, il luogo che pure Ulisse non volle oltrepassare.

A poco a poco comincio a comprendere il motivo che spinge alcuni uomini ad intrampendere questa vita.

Solo dei pazzi potrebbero navigare per il puro sfizio di farlo o per un salario che non ripaga minimamente gli sforzi , la fatica , la nostalgia dei cari.

Di primo acchito la vita vissuta su una nave è simile a quella di un galeotto.

Qua non esistono sabati sera, domeniche, festività o compleanni.

Le ore di lavoro non cambiano, o meglio, a volte aumentano.            Ma c’è qualcosa che si smuove dentro al mio animo, ora che mi trovo qua, nel bel mezzo del mare alle porte dell’oceano, non riesco purtoppo con le parole a descrivere questa sensazione.

Su questo ammasso di ferraglia che trasporta carbon ,sale e cemento, io mi sento grande.

Syrio