RadioDog
(if I can't dance, it's not my revolution)- racconti d'amore da terre resistenti
Grazie. Al cazzo
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Consigli per la pre-lettura. Malavida – Grazie! (al cazzo)

Viviamo in un mondo in cui limite non c’è. Là dove il privato diventa pubblico e il pubblico sfonda le porte del privato. La caccia ai ‘panni sporchi’ è mania dilagante, stupido palliativo per zittire la paura di restare soli, la paura di scoprirsi già soli. Nel nostro meraviglioso mondo occidentale e ricco, l’individualismo ci ha ridotti in atomi che compongono materia senza forma. Ognuno per conto proprio, perchè da soli è meglio, perchè al giorno d’oggi non puoi fidarti di nessuno, perchè il tuo vicino potrebbe essere un pericoloso assassino, perchè se ne sentono troppe in giro, perchè tuo marito ti tradisce, la tua migliore amica è invidiosa e i tuoi figli sono ingrati.
Insomma sei sola. Povera piccola donna infelice.
E tu uomo invece?
Tu non sei da meno. Fin da piccolo devi essere il più bravo della tua squadra di calcio, il più bello dei figli, il più figo tra gli amici. Devi averlo più lungo, e se non è così devi fingere di averlo più lungo, devi essere il più bravo a letto, e se non è così devi fingere di esserlo. Devi stare attento al tuo migliore amico che ti frega la ragazza. E poi devi lavorare ed essere competitivo. Di nuovo il migliore. Altrimenti il tuo collega ti ruba la promozione. E poi chi lo dice a tua moglie?
E allora sei solo.
E anche tu donna sei sola.
Ma le vite degli altri ti fanno compagnia. Sapere che c’è gente più disperata di te ti rende meno sol*. Meno triste. Ascolti I telegiornali che ti raccontano perchè lo zio ha ucciso la figlia della cognata. E non puoi neanche immaginare quanti retroscena: si è scoperto che la moglie del marito è la madre della figlia del cognato (attento anche a tuo fratello!). E la sofferenza delle persone ti riempe la vita e diventa il tuo pane qutidiano.
Ma non basta.
E quindi guardi lo sfigato di turno che pompato come un agnello prima della Pasqua si fa corteggire da una decina di oche starnazzati, in lizza per accompagnare lo sfiguto all’altare della futura cena pasquale, in un bagno di pubblicità.
Ma siccome non è sufficiente, spii la vita di venti persone rinchiuse in una prigione di telecamere, come in un panopticon di fama immeritata, e piangi quando le loro storie d’amore finiscono (a causa di un coinquilino più prestante o di una compagna di stanza più avvenente) o quando rimangono senza cibo per la cena troppo abbondante del giorno prima. Ma ridi quando si baciano pubblicamente e chiamano amore una notte di sesso bollente sotto lenzuola opache a coprire dagli sguardi indiscreti di telecamere impoccione.
E ti senti meno sol*. Ma ancora non è abbastanza.
E allora condividi la tua vita con una miriade di persone sconosciute ma amiche sui social network. Nei momenti di pausa tra un pettegolezzo e l’altro scrivi su facebook gli aggiornamenti immediati dei tuoi movimenti: ‘faccio la doccia’, ‘mangio fagioli in scatola’, ‘piango perchè è morto il mio criceto’. E ricevi una valanga di ‘Mi Piace’ da gente che non hai mai visto, o da quello che sta nell’altra stanza a conservare il veleno con cui ha ucciso il criceto.
Così riempi la tua vita: hai 537 amici su facebook, sei un tipo popolare e sempre informato.
Nella tua vita il pubblico e il privato si confondono e sovrappongono. Sbiadiscono i confini, scompaiono i limiti.Tutto diventa visibile, in piazza. Una piazza telematica, virtuale, elettronica.
Ma lasciatelo dire: la tua vita rimane triste.
Disgustosa.
Nauseabonda.
Ogni giorno ti dimostri un inetto, patetico prodotto omologato.
E allora grazie.
Grazie per l’ignoranza, la suerficialità e l’insensatezza che ogni giorno regali a questo nostro piccolo mondo occidentale e ricco.
Grazie per le puttanate.
Grazie per la cronaca minuto per minuto della tua vita.
Grazie anche per la moviola sulla vita degli altri.
Ma soprattutto grazie perchè non sono te.

Lilith

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