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(if I can't dance, it's not my revolution)- racconti d'amore da terre resistenti
La scuola rosa di Via dei Ciliegi: Ovvero come un Puma graffia un museo e una figurina parla.
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6704_10151525558176340_109516647_nAndrea si svegliò alle 7, come sempre.

Fece colazione col caffelatte e i biscotti al cioccolato, i suoi preferiti. E si arrabbiò, come sempre, perchè ancora una volta qualcuno non aveva chisuo bene il pacchetto e i biscotti si erano tutti rammolliti.

Fuori c’era un bel sole e sull autobus numero 26 Andrea si tolse la sciarpa che lo soffocava e lo infastidiva mentre cercava di arrivare dall’ autista per dirgli ancora una volta che le macchinette non funzionavano. Come sempre.

Quando finalmente scese, in Via dei Ciliegi, trovò la sua scuola, assieme al sole che non era andato via. C’era il giardino con lo scivolo rotto e gli scarabocchi in cima. Come sempre.

Tutta rosa e scrostata, la scuola di Via dei Ciliegi sembrava come una di quelle buffe cose del museo delle cose moderne, appena costruito in città al posto del mercato della frutta. Il nonno di Andrea quando avevano aperto il museo delle cose moderne disse che piuttosto di entrarci si sarebbe fatto biondo. Era solo uno scherzo.  Il nonno esagerava. Come sempre.

Ogni volta che la guardava Andrea immaginava che un puma gigante avesse deciso un pomeriggio di scagliarsi contro la scuola e prenderla a unghiate. Ai puma non piacciono i musei e nemmeno le cose che ci stanno dentro.

La maestra di Andrea, diceva che un tempo la scuola di  Via dei Ciliegi era rossa ma poi il comune aveva iniziato dei lavori per togliere i tetti e le pareti rosse e farle di un altro colore perchè quel rosso si chiamava amianto e faceva male a chi ci stava vicino.

Ad Andrea piaceva la sua scuola e non gli importava granchè delle unghiate del puma.

Quando c’era la lezione di storia Andrea non stava mai attento e guardava sempre fuori dalla finestra per vedere se il puma compariva e nel caso avvertire la maestra Pina e i compagni.Sarebbe diventato l’eroe della classe, avrebbe avuto una ricreazione più lunga ogni giorno e forse gli avrebbero pure fatto un monumento come quello del soldato triste davanti alla mensa; col nome scritto sopra però.  Mica come quello lì che nessuno sapeva chi era.

Nome e cognome, belli grandi e con tutti i fiori gialli attorno.

 

Dal suo banco, Andrea poteva vedere anche la fermata dell’ autobus e da qualche mese c’ erano 13 forse anche 15 figurine gigantesche incollate li sul vetro della fermata: delle facce buffe appiccicate una sopra l’altra sulla pensilina verde. Andrea aveva chiesto alla maestra di chi fossero tutte quelle figurine e come mai non le avessero messe in un grande album. La mamma di Andrea lo sgridava sempre quando appiccicava le figurine sui cassetti della scrivania di casa.

Quando suonò la campanella Andrea andò ad aspettare il 26, come sempre. Carlo salì sulla macchina luccicante del suo babbo e gli fece la lingua da dietro il vetro. Come sempre.

Ahmed tirò una manciata di sassolini contro il vetro e il papà di Carlo scese e disse che avrebbe telefonato alle loro mamme e che avrebbe cambiato Carlo di scuola che quella di Via dei Ciliegi era una vergogna, una schifezza, un cesso. Come sempre

Quando entrò in casa, Andrea si andò a lavare le mani e si sedette a tavola. Si mise il tovagliolo blu e cominciò a mangiare la sua pasta. Come sempre.

Fu allora che vide i signori delle figurine della fermata di Via dei Ciliegi alla televisone. Si facevano i complimenti l’ un l’altro e alcuni sorridevano alla signora col microfono.

La mamma scuoteva la testa.

Come sempre.

Era la prima volta che Andrea vedeva delle figurine parlanti.

 

Melquiades

 

 

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