RadioDog
(if I can't dance, it's not my revolution)- racconti d'amore da terre resistenti
OREF
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“Leave your hands underneath, leave them. Don’t let me go.”

“Tieni le mani sotto di me, tienile. Non lasciarmi andare.”

 

Oref ha 17 anni e non sa nuotare bene, vuole imparare. “Insegnami”, mi ha detto. E io gli sto insegnando a galleggiare sulla schiena, lasciando che l’acqua lo culli. E’ teso all’inizio, poi piano piano si lascia andare.

 

Non sa nuotare nonostante abbia attraversato l’Egeo su un gommone, dalla Turchia alla Grecia. Quando hanno iniziato ad avvistare le luci di Mitilini hanno tagliato il gommone, in modo che la guardia costiera fosse costretta ad andare a recuperarli. “Se ti ritroverai un’altra volta in mezzo al mare”, gli dico, “potrai galleggiare così sull’acqua, riposarti, respirare piano.”

Rimaniamo così a lungo, lui galleggia e io gli tengo le mani sotto la schiena. Ho i brividi, l’acqua è freddina, e Oref un giorno si ritroverà a dover galleggiare e riposarsi in mezzo al mare, senza di me.

 

Oref è un migrante, un profugo, un rifugiato, un richiedente asilo, un illegale, un senza documenti, un border crosser. Nemmeno lui sa di essere tutte queste cose. Non sa nemmeno cosa significhi essere minorenne o maggiorenne, queste categorie non significano nulla nella sua terra. Per lui l’età adulta inizierà quando avrà costruito una famiglia alla quale sarà in grado di badare. O quando sarà finalmente riuscito ad arrivare in Austria, dove vuole iniziare le procedure per ottenere l’asilo politico. “Penso di riuscire ad attraversare la Bulgaria a piedi, in quel caso non ho bisogno di saper nuotare”. Quando aveva quattro anni la sua mamma lo ha portato via dall’Afghanistan, lasciandosi dietro una casa in fiamme e un marito morto. Oref è cresciuto in Iran, parla farsi.

Vive in un centro di accoglienza sull’isola di Lesvos, un ex sanatorio per tubercolotici, appositamente situato in cima a una collina, isolato. Vive insieme ad altre decine di ragazzi dai tratti leggermente orientali e la voce timida, tutti appartenenti alla categoria di minori non accompagnati. Aspettano. Giocano a pallone, cercano di imparare il greco e l’inglese. Aspettano di continuare il loro viaggio. Alcuni di loro rimangono nel centro per anni, altri ci stanno solo qualche settimana in attesa di ricevere altro denaro per arrivare nell’irraggiungibile Nord.

 

Lesvos è il luogo dove Saffo riceveva le fanciulle in età da marito, alle quali insegnava come diventare ottime spose. Lesvos è anche l’isola che ha ricevuto, negli ultimi dieci anni, migliaia di migranti dal Medio Oriente, ai quali ha insegnato come diventare invisibili. Lesvos è il primo fazzoletto di terra europea che toccano, una volta attraversata la Turchia, in attesa di proseguire per Atene, poi Patrasso, poi Ancona. Bologna magari, e poi su, più a Nord. Austria, Germania, Svezia. Se non vengono arrestati prima, lì chiederanno l’asilo politico, che con ogni probabilità verrà loro rifiutato. Così comincerà la loro vita da invisibili, da illegali. Si ricorderanno la lezione impartita dalle autorità portuali di Lesvos, che li ha rinchiusi in prigioni, stazioni di polizia, centri di detenzione, lontano dagli sguardi dei greci e dei media stranieri. Lì hanno imparato che la loro vita si limita a un pezzetto di carta, che sia esso un permesso temporaneo di soggiorno, un documento che attesta la loro condizione di rifugiato, o una richiesta di lasciare il paese in meno di trenta giorni. Sono stati imprigionati tra mura spesse, uomini con uomini e donne con donne e bambini. Senza sapere per quanto, senza sapere perché. Dopo settimane, a volte mesi, gli è stata concessa la libertà, fino all’arresto nel paese successivo.

 

L’ambasciatore turco ad Atene è soddisfatto degli “ottimi rapporti diplomatici che intercorrono tra Turchi a Grecia, specialmente in materia di controllo dei confini. Negli ultimi quattro anni le statistiche mostrano una diminuzione di entrate illegali su suolo europeo, continueremo ad operare perché i confini rimangano luoghi sicuri.”

 

Il confine tra Lesvos e Ayvalik, tra Grecia e Turchia, tra Unione Europea e Medio Oriente è un confine liquido, fatto di onde blu increspate dal vento. Ho chiesto al capitano del traghetto che mi portava in Turchia quando esattamente avremmo superato il confine. “Il confine? Non c’è, mica si vede. Oggi è tra quegli scogli lì, domani alla fine di quel promontorio.”

Un confine invisibile, poroso, in movimento. Se attraversi quel confine senza il giusto timbro sul passaporto sei perseguibile secondo leggi nazionali ed europee. Prima del confine sei Oref, dall’altra parte sei illegale.

Sono gli uomini a creare i confini, o sono i confini a creare gli uomini?

Il confine impone identità, categorie, regole. Non sarai mai più quello che eri prima, dopo aver attraversato il confine. Oref mi ha detto “prima di arrivare dentro l’Unione Europea ero un bambino, ora ho iniziato il mio percorso verso l’età adulta”. Il confine è iniziazione.

 

Quando scendo dalla nave che mi riporta da Ayvalik su terra greca mi accorgo di tre tende bianche, piantate davanti all’ufficio della dogana, a pochi passi dal mare. E’ lì che i migranti vengono ricevuti, al loro sbarco in Grecia. Non possono lasciare le tende finché non riceveranno un permesso temporaneo. Una prigione all’aria aperta, bollente d’estate e gelata d’inverno. Passo accanto a quelle tende con il mio passaporto che verrà controllato svogliatamente da un funzionario della dogana, cammino leggera perché attraversando quel confine io non ho rischiato di morire, non è stata per me un’iniziazione, né è cambiato il mio status di cittadina europea. Sullo stesso asfalto, in pochi metri quadrati, cammino io di ritorno dalla mia gita di un giorno nel vicino Oriente, mentre altri uomini e donne sono imprigionati. Non posso avvicinarmi alle tende, nonostante non ci siano barriere né inferriate. Un altro confine invisibile divide il territorio greco: luogo di passaggio per me, prigione per loro.

 

“Now you can move your hands, I wanna try to be by myself.”

“Ora puoi togliere le mani. Voglio provare da solo.”

 

 ἐλευθερία

2013-07-10 19.50.15

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