RadioDog
(if I can't dance, it's not my revolution)- racconti d'amore da terre resistenti
Parole per pallottole
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carroza

Cammina davanti a me.

 

A vederlo con la camicetta e i pantaloni d’occasione non gli daresti due soldi, tanto sembra esile e mingherlino.

 

Cammina davanti a me e in mano tiene il megafono, lo tiene con forza, stringendo il bottone con un misto di rabbia e dolore quando deve parlarci dentro.

 

Sarà alto un metro e una spanna , un soldo di cacio, ma sotto è tutto un fascio di nervi, muscoli sottili e pelle bruciata dal sole del lavoro nei campi; lavoro pesante, lavoro da muli, lavoro che sfianca fino a lasciarti mezzo morto alla sera. Le sue mani e il suo volto sono pieni di rughe, come solchi irregolari, come le pieghe che prende la terra quando viene dissodata. Terra e fatica, terra e lavoro, terra e vita di ogni giorno. E’ un campesino.

 

E le parole che escono dal megafono grande quanto il suo sombrero, sono frasi affilate come lama di machete, che raccontano il dolore della sua terra e della sua gente.

 

 

E’ uno dei membri della Comunità di Pace( http://www.cdpsanjose.org/ ), che stamattina hanno marciato lasciando case, lavoro, bestie e campi, fino al cuore della città arrivando sotto i palazzi della “Fiscalia” per chiedere due cose semplici come il pane, vitali come l’acqua: Verità e Giustizia.

 

Il folto gruppo di sombreros e botas, chi cavalcando il proprio mulo, chi semplicemente a piedi, sono scesi tra le strade di Apartadò tra gli sguardi stupiti e perplessi dei cittadini , portando corone di fiori, e i nomi delle oltre 250 persone della comunità scritte su un enorme bara bianca, assassinate da mano militare e paramilitare.

 

L’effetto sulla gente della città è contraddittorio: in tanti guardano incuriositi dal fatto che questi contadini con stivali da cui il fango non va piu via, siano scesi fino al capoluogo. Non capita tutti i giorni (“ah il folklore”!).

 

Ma altrettante persone , forse disturbate, forse infastidite dal silenzio composto e allo stesso tempo assordante della marcia , si girano dall’altra parte , si trovano qualcosa da fare o una birra da finire.

 

 

Ed è per questo che ora, quando ormai tutto è finito e il corteo è sulla strada del ritorno e siamo rimasti solo noi attivisti con lui, Jesus Emilio sente che tutto questo ( l’essersi fatto 20 kilometri a piedi, aver lasciato le sue bestie, l’essersi esposto a ghigni e risa di chi vive in città-se va bene- o una pallottola da una una moto che sgomma via -se va male) tutto questo non gli basta, non oggi.

 

Si incammina da solo, deciso ad attrarre l’attenzione di chi si è voltato dall’altra parte, a richiamarlo alla propria umanità, combattendo i mulini a vento dell’indifferenza. E noi accompagnatori, che siamo il suo ronzinante, lo seguiamo senza dirci niente, visto che andando da solo per le strade della città verrebbe sicuramente ammazzato, come già gli hanno promesso varie volte.

 

Impugna il megafono come fosse un’arma , si incammina un po’ zoppicante guardando in alto e poi negli occhi tutta la gente, pronto a rendere parole  per tutte le pallottole che la sua comunità ha ricevuto. Parole per piombo, verità per menzogna, dignità per morte.

 

La sua voce non inciampa, non ha acuti, non diventa isterica, ma è calma e composta.

 

E’ la voce di chi in fondo è un uomo libero, perché si è liberato da solo dalla schiavitù della paura, quella bastarda di morire, quella che ti fa scappare dalla tua terra, che ti fa temere per i tuoi cari, che ti fa tremare la notte, che ti fa lavorare e coltivare coca per i tuoi aguzzini e che ti rende lentamente schiavo e sempre meno umano.

 

 

Cammina davanti a me e a vederlo così piccolo e magro non gli daresti due soldi.

 

Cammina davanti a me e impugna il megafono. Restituisce parole per tutte le pallottole che hanno ammazzato la sua gente.

 

Cammina davanti a me e il corteo è gia distante qualche kilometro, e lui è l’ultimo a lasciare i mulini a vento. A volte serve che qualcuno rimanga indietro, per mostrare la strada che c’è da percorrere.

 

 

Cammina davanti a me un uomo che per continuare a camminare col suo megafono, ha chiesto a noi di accompagnarlo.

 

 Cammina davanti a me un uomo libero.

              Maqu¡s



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